Quarant’anni di rabbia: “Born in the U.S.A.” di Bruce Springsteen [Video]

Pubblicato nel giugno 1984, Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen è il simbolo di un’epoca. Non solo perché è il disco più famoso – anche se non il più bello – del “boss” del New Jersey, con oltre 28 milioni di copie vendute in tutto il mondo e la cifra impressionante di ben sette singoli finiti nella top 10 su una scaletta di 14 brani, tra cui classici immortali registrati con la E-Street Band come Glory Days, Dancing in the Dark, I’m on Fire. Ma soprattutto perché è una delle rare opere capaci di catturare lo Zeitgeist di un’epoca, a cominciare dalla leggendaria title-track e dalla copertina dell’album firmata dalla celebre fotografa del rock, Annie Leibovitz, che ritrae Springsteen in piedi e di spalle, di fronte alle strisce di una bandiera americana. In questo scatto iconico, il cantautore americano indossa una maglietta bianca e dei jeans, con un berretto da baseball rosso infilato nella tasca posteriore destra.

Bruce Springsteen – Born in the U.S.A. (Official Video)

Un (un frainteso) inno contro la guerra

La traccia omonima che apre il settimo album di Springsteen, che inizialmente si sarebbe dovuta intitolare Vietnam, è anche uno degli inni più fraintesi della storia della musica. L’iconografia e quel leggendario ritornello urlato potrebbero far pensare si tratti di un’esaltazione patriottica che celebra il dono di nascere cittadino americano. In realtà, è l’esatto opposto, perché la canzone racconta come l’America abbia deluso e abbandonato i veterani della guerra in Vietnam al loro destino, esprimendo una visione disincantata della politica estera americana. La seconda strofa inizia con un soldato che si arruola come alternativa al carcere: “Così mi hanno messo un fucile in mano / Mi hanno mandato in una terra straniera / Per andare ad uccidere l’uomo giallo” canta Springsteen.

La canzone fu ispirata dall’incontro con il veterano di guerra Ron Kovic, costretto su una sedia a rotelle dopo essere stato colpito da un proiettile mentre combatteva in Vietnam: in seguito, divenne uno dei leader del movimento contro la guerra e, nel 1976, pubblicò un libro, Born On The Fourth Of July, che raccontava la sua storia e che ispirò il film con Tom Cruise. Il cantautore comprò il libro nel 1980: due settimane più tardi, i due – Springsteen e Kovic – alloggiarono entrambi casualmente all’hotel Sunset Marquis di Los Angeles. Si ritrovarono a bordo piscina e Kovic invitò Springsteen a visitare il centro dei veterani, vicino Venice. Il boss accettò e l’incontro segnò profondamente il cantautore. “Parlare della mia vita a questi ragazzi sembrava frivolo. C’erano senzatetto, problemi di droga e stress post-traumatico – ragazzi della mia età che affrontavano lesioni fisiche che cambiavano la vita”. Le loro storie ispirarono la stesura del brano. “I versi sono solo un resoconto degli eventi,” ha raccontato Springsteen. “Il ritornello è una dichiarazione del tuo luogo di nascita e del diritto a tutto l’orgoglio, la confusione, la vergogna e la grazia che ne derivano”.

Le parole di Reagan

“Bruce iniziava ogni spettacolo con una versione davvero entusiasmante e anthemica di Born in the U.S.A.,” ricorda Chris Christie, ex governatore del New Jersey, a NPR. “Con la bandana, la camicia tagliata e i pugni, sembrava una celebrazione del fatto di essere nato negli Stati Uniti, mentre in realtà è una canzone di sfida che dice: ‘Sono nato negli Stati Uniti e mi merito di meglio di quello che sto ricevendo’. Credo che molte persone non abbiano capito di cosa si trattava, compreso il Presidente degli Stati Uniti”. Christie si riferisce al comizio del 19 settembre 1984, nel quale l’allora presidente repubblicano Ronald Reagan citò proprio Springsteen, fraintendendo completamente il significato della canzone che spopolava su MTV e in radio: “Il futuro dell’America risiede in mille sogni nei vostri cuori; risiede nel messaggio di speranza contenuto nelle canzoni che tanti giovani americani ammirano: Bruce Springsteen, cittadino del New Jersey. E aiutarvi a realizzare quei sogni è lo scopo di questo mio lavoro”. Il presidente riteneva che la canzone avesse una chiave nazionalista ma, come spiegato poc’anzi, si trattava di un clamoroso fraintendimento.

Il cantautore della classe operaia

Anni dopo, Springsteen ricorderà, in una video-intervista, che quella “canzone, in particolare, rientrava in un certo contesto sociale. Il paese aveva virato a destra, e i repubblicani all’epoca stavano sostanzialmente tentando di cooptare qualsiasi cosa americana. ‘Born in the USA’ era una canzone di ribellione.” Springsteen si ispirava, tra gli altri, allo scrittore John Steinbeck e alla sua monumentale opera Furore e a mostri sacri della musica americana come Woody Guthrie, Pete Seeger e, naturalmente, Bob Dylan. Storie della classe operaia, per la classe operaia. Non fa eccezione Born in the U.S.A., ancora oggi uno degli album più amati del Boss, e quello che lo portò a essere uno dei rocker più famosi del mondo.
Fonte notizia InsideOver